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AperiTurismo con... Massimiliano Borgia, direttore del Festival internazionale del giornalismo alimentare di Torino

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31 ottobre 2018

Massimiliano Borgia è il direttore del Festival internazionale del giornalismo alimentare di Torino, una manifestazione che è nata per creare dibattito sulla qualità dell’informazione sul cibo.

Massimiliano, come nasce questa tua passione per il giornalismo alimentare?

La mia è una passione che nasce dal giornalismo locale e da quella per l’ambiente. Per molti anni sono stato redattore e condirettore di un giornali locale. Il contatto continuo con il territorio unito alla passione per la natura, il paesaggio, le tradizioni agropastorali mi hanno fatto avvicinare alle materie prime, agli animali, ai metodi di lavorazione e conservazione. Il mio interesse per il cibo è nato dalla ricerca e dal reportage. Dal lavoro di giornalista è nata la riflessione su quanto sia importate curare l’informazione sul cibo, su tutta la catena del cibo e su tutti gli aspetti che riguardano il cibo. Oggi i cittadini attribuiscono al cibo addirittura aspetti che un tempo erano propri delle ideologie e persino delle religioni. C’è un interesse viscerale per tutto ciò che mangiamo, su cosa c’è dentro, su come si fa, come viene controllato, da dove arriva, se ci fa stare in salute, se ha dietro una storia. Ma i giornalisti non sono preparati a rispondere a questa grande richiesta di giornalismo alimentare. Così abbiamo creato un evento che faccia riflettere il mondo dell’informazione e della comunicazione su come si sta facendo informazione alimentare. Un evento che mette insieme giornalisti, blogger, influencer ma anche aziende, istituzioni, professioni della sicurezza alimentare, con l’obiettivo di soddisfare la richiesta dei cittadini di una corretta informazione che aiuti a fare le scelte alimentari quotidiane. Il Festival del giornalismo alimentare è in programma per il prossimo febbraio ed è ormai giunto alla sua quarta edizione.

Come si misura il successo di un evento sul food?

Non è solo una questione di sale piene o di tanta gente in piazza. Oggi gli eventi vivono forse più sui social che nella realtà. L’evento è vissuto attraverso il “parlare” che se ne fa sui social. Direi che il successo si misura con il colpo d’occhio sulla frequentazione, sulla quantità e qualità della rassegna stampa ma molto di più con le analisi delle interazioni sui social.

Dovendo raccogliere in un paio di punti essenziali l’abc della promozione e divulgazione stampa di un evento sul cibo, cosa ti senti di suggerire?

La base è la costruzione del programma. Poi ci sono anche i nomi, ma secondo me, un programma originale e di attualità, o anche anticipatore, viene prima dei nomi conosciuti. Anzi, credo che i nomi, più che conosciuti debbano essere autorevoli sul tema che si vuole trattare. Di solito si sceglie di imbottire un evento di personaggi televisivi per fare parlare dell’evento: è costoso e “ubriaca”, nel senso che ti sveni per rifare un format già visto e per imitare la Tv. Va bene nel breve periodo ma per un evento di lunga durata servono personaggi che portino forza ai contenuti. Cha sappiano parlare più che apparire.

Cosa è necessario tenere a mente nella comunicazione b2b e cosa diventa essenziale per un’ottima promozione verso i potenziali visitatori/utenti, quindi nella comunicazione b2c?

Si deve seguire una linea, un piano editoriale. Si deve stare molto sui social ma con l’approccio dell’amico confidente che ti consiglia. E i consigli devono essere sempre di qualità testata, non sparati a caso. Se un posto è stato devastato da un incendio non posso dire che ha una natura bellissima e mettere una foto d’archivio. Ma prima va fatto un grande piano si deve scegliere un direttore che lo faccia rispettare: che immagine vogliamo dare, quale possiamo davvero dare, cosa offriamo per davvero, che accessibilità abbiamo, cosa vogliono i turisti del cibo, e quali turisti del cibo vogliamo? Ecco le domande.

Quale tipo di figura professionale è la più adatta a svolgere questo tipo di attività?

Non c’è dubbio: è il giornalista. È il giornalista che sa interessare il suo pubblico, che sa trovare sempre cose interessanti per il suo pubblico, le notizie. È il giornalista che sa spiegare e fare capire. Oggi il giornalista è sempre più una figura poliedrica, c’è il giornalista di brand, c’è il giornalista che lavora solo con i social, c’è il giornalista blogger, c’è il giornalista che fa lo story teller, c’è giornalista content curator. Insomma per informare su un territorio e per curare il pubblico c’è il giornalista, ma un nuovo giornalista.

Se dovessimo fare un ulteriore sforzo e convincere che quello specifico evento vale la pena il costo di un viaggio o di un biglietto, quale sarebbe il passo successivo nella comunicazione promo commerciale?

Si deve comunicare l’anima dell’evento. L’evento deve essere un’esperienza utile ma anche partecipata. È importante che l’evento sia inclusivo. Una sagra secolare deve consentire l’accesso a tutti i visitatori, soprattutto a chi “viene da fuori”. Invece, spesso, non si trova nemmeno posto al tavolo perché è già tutto prenotato dai paesani. E allora il turista pensa: “cosa lo avete promosso a fare? Per fare bella figura con la pro loco per paese vicino?

Quali sono gli errori più comuni nella mancata o inadeguata promozione di un evento del food in Italia?

Proprio il mancato presidio dei social. Ma direi anche la mancanza di anima da comunicare. Ma non è una questione da antropologi. Non c’è bisogno di essere una festa che richiama antichi riti della fertilità per avere un’anima. Un evento di street food o la più banale delle feste della birra può essere promossa come un’esperienza di divertimento non banale, basta che poi non sia una cosa noiosa o troppo dozzinale.

Tu conosci abbastanza bene la Sardegna e la sua tradizione alimentare, quale prodotto/tipo di cibo, congiuntamente ad un evento o ad un percorso enogastronomico, potrebbe essere il più notiziabile e sarebbe una valida motivazione ad un viaggio nell’isola anche in bassa stagione?

La Sardegna è un’isola. Non si parte in macchina per la Sardegna la domenica mattina dopo avere visto fuori dalla finestra com’è il tempo. Il viaggio in Sardegna deve essere per forza preparato. Ed è costoso. Quindi, ci deve essere un evento attrattivo (per le zone degli aeroporti) che giustifichi uno short break. Altrimenti deve essere un soggiorno di una settimana. E per queste utenze, soprattutto nelle basse stagioni, la motivazione migliore è il trekking oppure le attività multiple tipiche della natura. A queste motivazioni si possono aggiungere le scoperte enogastronomiche. Queste possono essere molto notiziabili ma devono essere spiegate le lavorazioni, le origini, le storie di chi produce.

Di quali nuovi trend alimentari osservati negli ultimi anni dovrebbe tener conto la Sardegna qualora volesse promuovere i suoi prodotti di eccellenza nel mondo come identificativi di un brand o di un’intera destinazione?

Il problema è che i prodotti più iconici della tradizione alimentare sarda sono oggi sotto attacco a causa della prevalenza della cultura urbana su quella rurale, dell’ossessione dell’apparire rispetto al buon vivere. La carne, soprattutto quella di agnello è sotto attacco e nel mondo dell’informazione è diventata un tabù: a Pasqua nessun giornale o rivista, e nemmeno un servizio Tv, proporrebbe di mangiare agnello. Da un certo punto di vista bisognava pensarci prima quando le associazioni di categoria pensavano solo a portare a casa contributi. Ma anche il formaggio è sotto attacco, qui per una motivazione nutrizionale che non trova quasi confutazioni. Anche qui, le associazioni non promuovono studi che rivalutano il latte e il formaggio come alimenti essenziali per la storia dell’umanità. Una caporedattrice di una rivista femminile con sede a Milano che deve commissionare un pezzo sul cibo a una collaboratrice non dirà mai: “fammi un pezzo sul pecorino”. Dirà: “fammi un pezzo sulle verdure”. Ma non si prende l’aereo da Milano per andare in Sardegna a mangiare carciofi. Si deve intraprendere un cammino faticoso e costoso per ribaltare un’immagine negativa. Qui serve un’azione sinergica tra ricerca universitaria di tutti i settori, dall’antropologia, alla nutrizione, dalla medicina, alla storia. Poi serve tanta promozione scientifica sul continente. In sostanza si deve saper dire: “Se vengono in Sardegna a rubarci il DNA perché siamo i più longevi, forse potremmo dire anche noi qualcosa sulla carne e sul formaggio che mangiamo?

Massimiliano Borgia è uno degli speaker di Sabores, il quinto e ultimo appuntamento di AperiTurismo 2018.

Consulta il programma per scoprire chi sono gli altri


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