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Home > Notizie e Rassegna stampa > 2009 > Sedi universitarie decentrate_Opinioni_3
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Sedi universitarie decentrate_Opinioni_3

17 gennaio 2009

L'opinione del Prof. Giuseppe Pulina

Riproduciamo l'articolo del Prof. Giuseppe Pulina, professore di Zooctenia Speciale presso Università degli Studi di Sassari, sul tema dell'università diffusa, pubblicato sul sito www.insardegna.eu nel marzo del 2008.

UNIVERSITA' E SEDI GEMMATE: PERCHE' NON DICIAMO TUTTA LA VERITA'?

Servono luoghi di insegnamento universitario oltre a quelli disponibili a Cagliari e a Sassari? Se sì,quali requisiti minimi devono rispettare? Dopo l'articolo di Francesco Pigliaru (che cita dati sorprendenti su come vanno le cose nei paesi che hanno molti laureati), il tema è ripreso e sviluppato da Giuseppe Pulina.

La polemica sulle sedi gemmate delle Università della Sardegna si sta arroventando. Fra le tante analisi, i pro e i contro il decentramento dei corsi di studio universitari, provo a dare una lettura, forse non ortodossa, delle concause che hanno portato all’attuale distribuzione territoriale dell’offerta formativa universitaria nella nostra Regione. Posso comunque preliminarmente affermare che tale fenomeno è stato più subito che voluto dai due Atenei isolani.

La metastasi accademica è iniziata intorno alla fine degli anni ’80, sostenuta da diversi ordini di motivi, alcuni dei quali esterni all’ambito accademico:

  1. il localismo. Le comunità locali, sulla spinta di una convinzione (in parte condivisibile) che la collocazione di una sede universitaria sarebbe stata un volano di sviluppo, hanno premuto sulle forze politiche regionali e nazionali per trovare le risorse necessarie alla nascita delle sedi “gemmate”. Il risultato è stata la pressione dell’establishment politico (ecclesiastico, industriale, ecc..) sui senati accademici, sui consigli di amministrazione nonché sui consigli di facoltà per la dislocazione di almeno un corso (anche di solo diploma universitario, come erano chiamati allora i corsi triennali) presso una sede remota. Tale pressione a dire il vero si è esercitata più con le blandizie (più soldi, più spazio) che con le minacce (se non venite voi, ci rivolgiamo ad altri), ma ha in ogni caso funzionato.
  2. l’aggressività delle Università del continente. Nel festival delle sedi “gemmate” si erano introdotte con grande vitalità le Università del continente le quali hanno sfruttato l’occasione offerta dalla telematica e la condiscendenza del Ministero dell’Università propenso a riconoscere l’insegnamento di corsi universitari a distanza . Questo ha comportato l’insediamento di corsi universitari in sedi ritenute, fino al momento, di scarso interesse per gli Atenei isolani. Un caso per tutti è il corso telematico di ingegneria informatica aperto a Scano Montiferru dal Politecnico di Torino. Preoccupate da questa “invasione”, le Università della Sardegna si sono trovate quasi costrette a considerare con maggiore attenzione le proposte che provenivano dal “territorio”.
  3. L’opportunità di carriera e i vantaggi economici per i docenti. Sentendosi poco valorizzati o addirittura con la “prospettiva di carriera loro chiusa” nelle sedi universitarie storiche, molti docenti hanno intravisto nella creazione di nuove sedi delle opportunità di avanzamento conseguenti all’ampliamento dell’offerta formativa. Inoltre, poiché la maggior parte dei corsi nelle sedi gemmate sono tenuti da supplenti (e in qualche caso da contrattisti esterni all’Università), la condizione di disagio, nella gran parte dei casi reale, ha comportato che per mantenere “aperti” i corsi decentrati si doveva consentire di “arrotondare” il salario dei docenti universitari impegnati fuori sede. Peraltro, la non stanzialità della stragrande maggioranza dei docenti presso le sedi gemmate non ha consentito che si installassero attività di ricerca di spessore e continuative.

Quali proposte? Fra le tante posso indicare quelle che a mio avviso sono prioritarie.

  1. smettiamola di parlare di università di Nuoro, Oristano, Olbia, ecc.. e iniziamo a parlare di Università della Sardegna con due Atenei (Sassari e Cagliari) e alcune (poche) sedi territoriali. Le nostre università versano in una crisi di reclutamento di studenti che sarà sempre più grave per cui è indispensabile concentrare le risorse nelle sedi principali nelle quali, tra l’altro, sia possibile convogliare una massa critica di studenti e di docenti che non rendano la parola Università sostitutiva di “istituto di formazione superiore avanzato”;
  2. apriamo le sedi territoriali soltanto nei centri le cui comunità locali siano in grado di sostenere l’ambiente necessario per la maturazione culturale dei giovani nell’età della formazione superiore e universitaria. Un limite che mi viene in mente è la presenza di strutture sportive e culturali (biblioteche, teatri, cinema, ecc..) oltre che di servizi e strutture recettive in grado di richiamare, per la qualità della formazione complessiva, studenti da tutta la Sardegna, e magari da aree extraregionali. Questo consentirebbe di evitare di condannare gli studenti universitari delle sedi non storiche ad una perniciosa formazione localistica, e al contempo offrirebbe possibilità di crescita economica e sociale maggiore al territorio
  3. Facciamo in modo che i docenti conducano nelle sedi territoriali oltre all’attività didattica anche quella di ricerca. Questo appare tanto importante se consideriamo che l’università raggiunge i suoi obiettivi soltanto se gli studenti vivono l’avventura formativa con i docenti e studiano assieme. Laboratori, biblioteche, stabulari, luoghi di ricreazione devono essere spazi condivisi della comunità accademica: in questo modo la presenza di studenti e docenti integrati in una comunità ne può rappresentare un valido strumento di crescita così come auspicato dalle comunità locali proponenti.

 


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