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Home > Notizie e Rassegna stampa > 2009 > Sedi universitarie decentrate_Opinioni_2
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Sedi universitarie decentrate_Opinioni_2

17 gennaio 2009

L'opinione del Prof. Gian Luigi Gessa

Pubblichiamo nuovamente l'articolo del Prof. Gian Luigi Gessa, docente di Neuropsicofarmacologia all'Università di Cagliari e consigliere regionale uscente, tratto dal sito www.insardegna.eu.

 

QUALI UNIVERSITA' NEL TERRITORIO?

E’ possibile ripensare le piccole università sul territorio come l’equivalente dei college americani. Essi offrono il titolo di bachelor, corrispondente alla nostra laurea triennale. I college si chiamano anche università di insegnamento. Pensare in questo modo le nostre università nel territorio non significa declassarle, né impedisce che esse possano in futuro crescere e diventare università di insegnamento e ricerca. Soprattutto se docenti motivati saranno capaci di conquistare il gradimento degli studenti, l’interesse delle istituzioni locali, di privati, delle imprese e dimostreranno che la loro università contribuisce alla crescita culturale ed economica del territorio. Finora non si è fatto niente di tutto questo.

 

La Regione ha approvato lo stanziamento di sei milioni di euro in favore delle sedi universitarie decentrate per assicurare la prosecuzione e il completamento dei corsi iniziati. Inoltre, si è impegnata a sottoscrivere un’intesa con le Università di Cagliari e di Sassari per cercare di razionalizzare la loro offerta formativa. Fra breve la Giunta regionale e i rappresentanti delle università dovranno decidere quale sede decentrata meriti di essere sostenuta e potenziata, quale modificata, quale soppressa, non solo in considerazione del prestigio del Comune che la ospita, del suo sindaco o del politico di riferimento quanto del fatto che fornisca una qualificata offerta formativa. Non tutti, anche tra gli universitari, sanno che cosa sono e a cosa servono le sedi decentrate perciò è utile un breve chiarimento. Le sedi decentrate sono i corsi di laurea attivati dall’Università di Cagliari nei Comuni di Oristano, Nuoro, Iglesias, Ilbono, Sorgono e Sanluri e dall’Università di Sassari nei Comuni di Alghero, Tempio, Olbia, Nuoro, Oristano e Ozieri. Nelle sedi decentrate si svolgono prevalentemente corsi triennali (lauree brevi) su discipline accademiche che vanno dall’erboristeria a Tempio, economia e imprese del turismo a Olbia, scienze e tecnologie forestali e ambientali a Nuoro. Le sedi decentrate sono state concepite per offrire ai giovani che non hanno la possibilità di frequentare i corsi di laurea nella sede accademica (ad esempio studenti lavoratori) l’opportunità di conseguire almeno una laurea di primo livello.

La Sardegna ha un forte bisogno di laureati: solo il dieci per cento della popolazione di età compresa tra i 25 e i 44 anni ha un titolo di studio universitario (laurea breve o specialistica), mentre il numero dei laureati nei paesi più avanzati varia dal 23 al 46 per cento. Si ritiene che il numero dei laureati sia correlato positivamente al progresso del paese e la loro formazione al numero delle università presenti nel paese. Tuttavia, perché l’equazione più università, più laureati, più progresso sia valida è necessario che i laureati prodotti abbiano reale qualità. Il titolo erogato deve corrispondere a competenze reali, avere valore di mercato nel senso che serva veramente al laureato nel lavoro e nella vita. Tuttavia, salvo eccezioni i corsi di laurea nelle sedi decentrate in Sardegna sono stati istituiti per iniziativa di intraprendenti docenti delle due università, senza una pianificazione generale che tenesse conto delle concrete prospettive occupazionali per i laureati.

La qualità dell’offerta formativa di una sede universitaria è soprattutto garantita dal suo corpo docente. Un documento appena elaborato dall’Assessorato regionale della Pubblica Istruzione rivela che solo una piccola percentuale (meno del 6%) di tutto il corpo insegnante delle sedi decentrate è costituita da titolari di ruolo nella sede stessa. La maggior parte dei docenti (più del 50%) è costituita da supplenti, cioè da docenti in ruolo presso le sedi di Cagliari e Sassari dove dovrebbero svolgere a tempo pieno la loro attività di insegnamento e ricerca. Essi ricevono un secondo stipendio e le indennità di trasferta per recarsi alla sede decentrata per tenervi le lezioni e gli esami. L’unica occasione in cui incontrano gli studenti. Un’altra grossa percentuale di docenti (circa il 35%) è costituita da docenti a contratto, presumibilmente laureati, che non hanno mai superato alcun concorso per insegnare all’università. Per alcuni di questi docenti la sede decentrata costituisce una risorsa occupazionale. Vi è infine una piccola percentuale di docenti che insegna gratuitamente, presumibilmente per acquisire qualche titolo per la futura carriera. Quasi nessun docente è stato promosso in un concorso finalizzato a ricoprire un posto nella sede decentrata: a dimostrazione che purtroppo quelle sedi non formano docenti, la missione più alta dell’università e la principale attrazione per giovani intelligenti e ambiziosi.

Le informazioni contenute nel documento regionale suggeriscono che la qualità dell’offerta formativa delle sedi decentrate non corrisponde affatto alle autocertificazioni apologetiche delle brochure prodotte dalle università e suggeriscono che la qualità debba essere verificata e garantita applicando principi e procedure di valutazione riconosciuti a livello internazionale, come ha fatto la Regione Toscana che ha anche stabilito che l’accreditamento dell’offerta formativa sia la condizione per l’accesso ai fondi regionali. Opportunamente il ministro Mussi ha interrotto la diffusione epidemica delle sedi decentrate col divieto, fino al 2009, di istituire o attivare nuove facoltà o corsi di studio in comuni diversi da quello in cui l’ateneo ha sede legale e amministrativa. Pertanto, nella prossimo intesa Regione-Università non si potranno istituire nuove sedi universitarie decentrate ma solo sopprimere quelle che non aprono prospettive occupazionali e qualificare le altre. Quali sedi decentrate potranno sopravvivere ad una severa valutazione? Il documento dell’assessorato suggerisce che la debolezza principale delle sedi decentrate è il pendolarismo. Per correggerlo sarà necessario offrire alla sede che si ritiene utile una dotazione di giovani e bravi docenti con l’obbligo di residenza nella sede stessa. Solo se i docenti saranno costretti a viverci, e la considereranno la loro università potranno contribuire alla sua riqualificazione. E’ possibile ripensare le piccole università sul territorio come l’equivalente dei college americani. Essi offrono il titolo di bachelor, corrispondente alla nostra laurea triennale. I college si chiamano anche università di insegnamento per distinguerli dalle università di insegnamento e ricerca, le quali offrono anche i master, corrispondenti alle nostre lauree specialistiche e il titolo di PhD (Doctor of Philosphy).    

Pensare alla sede universitaria come ad una università di insegnamento non significa declassarla, inoltre non impedisce che essa possa in futuro crescere e diventare università di insegnamento e ricerca. Soprattutto se docenti motivati saranno capaci di conquistare il gradimento degli studenti, l’interesse delle istituzioni locali, di privati, delle imprese e dimostreranno che la loro università contribuisce alla crescita culturale ed economica del territorio. In un discorso più ampio razionalizzare l’offerta formativa significa anche modificare i contenuti dell’insegnamento. Attualmente esso è indirizzato quasi esclusivamente all’apprendimento di competenze professionali specialistiche mentre, se è vero che i “dottori” italiani e specialmente quelli sardi non sono padroni della matematica, della chimica e della lingua italiana, sarebbe opportuno che esso rafforzasse anche la cultura generale e la capacità di pensiero critico dello studente per prepararlo ad un mondo del lavoro in continua evoluzione. Infine, qualificare una sede decentrata richiede risorse economiche adeguate. Nel documento dell’Assessorato sono raccolte tutte le informazioni sul costo medio degli studenti e dei laureati nelle differenti sedi decentrate. Dal documento si scopre che la spesa media annuale della Regione per uno studente iscritto a Olbia è di circa quattrocento euro mentre per uno studente di Nuoro la Regione spende quattromila euro, circa dieci volte di più. Un laureato di Nuoro costa alla Regione circa cinquantamila euro, mentre quello di Iglesias ne costa solo ventunomila. Infine, uno studente iscritto all’AILUN (Associazione Istituzione Libera Università Nuorese) ci costa circa trentaseimila euro all’anno, ma quel prezioso studente non spende neanche un euro di tasca propria! Sul costo e la qualità dell’offerta formativa dell’AILUN sarà opportuno un discorso più ampio dei limiti ristretti di questo intervento. I sei milioni stanziati dalla Regione sono appena sufficienti per la sopravvivenza delle sedi esistenti ma non per un progetto più ambizioso di qualificazione. La Regione ha disperso finora ingenti risorse, che sarebbero state sufficienti per bonificare più di una sede, per sostenere associazioni, consorzi, fondazioni, commissioni, consulenze, nuclei di valutazione, etc. per risolvere “in tempi brevi” la razionalizzazione dell’offerta formativa delle università della Sardegna. Questi organismi lavorano alacremente per realizzare questo obiettivo, alcuni da vent’anni! Produrre laureati senza qualità è un peccato mortale non tanto perché si sprecano soldi pubblici quanto perché si rubano gli anni migliori ai giovani sardi.

* Da: Sardinews, marzo 2008

 


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