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UNISS pronta ad una collaborazione scientifica sul relitto rinvenuto nei fondali del Sinis

14 maggio 2009

«L’Università è pronta a collaborare, ma la decisione spetta alla Soprintendenza». Arriva dal professor Raimondo Zucca, direttore del Curriculum di Archeologia subacquea, la conferma della disponibilità da parte dell’ateneo sassarese, cui fa capo appunto il corso di studi con sede a Oristano, per l’avvio di una collaborazione scientifica sulle ricerche sul relitto della nave, forse un galeone spagnolo del Cinquecento, rinvenuto lo scorso ottobre nei fondali del Sinis. Un ritrovamento importante, quello compiuto dai due sub di Forlì, Marco Montanari e Marco Testarella, che durante una immersione nel mare di Putzu Idu erano rimasti attratti da quel pezzo di legno coperto dalla sabbia, a tre metri di profondità, rivelatosi poi qualcosa di valore inestimabile. Un’antica nave, appunto, che la successiva ispezione della Soprintendenza ipotizzerà trattarsi di un galeone spagnolo o portoghese, che solcava il Mediterraneo a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento affondato per un incendio, oppure assalito dei predoni. La parola ritorna appunto alla Soprintendenza cui spetta la decisione più difficile: stabilire se avviare le avviare o meno una campagna di scavi, oppure, lasciare che il galeone rimanga ancora lì, sepolto sotto uno strato di sabbia che lo protegge da secoli. «Le scelte sull’avvio o meno di una campagna di scavi dipendono da molti fattori - dice Zucca -. Innanzittutto i gradini di interesse scientifico, ma soprattutto, la disponibilità finanziaria. Una campagna di scavi, subacquea, è molto più onerosa di una in superficie. Necessita di attrezzature personale tecnico altamente specializzati. In ogni caso, siamo pronti a collaborare, mettendo in campo i nostri studenti che dal punto della ricerca scientifica possono offrire un importante supporto». Anche il professor Piergiorgio Spanu, docente di argheologia tardo, antica e medioevale all’Università di Sassari e di metodologia di ricerca a Oristano, conferma come per l’Ateneo si tratterebbe di una importantissima occasione. Il professor Spanu, che spiega di aver compiuto alcune immersioni nell’area del ritrovamento, però è piuttosto cauto nell’attribuire una identità precisa al relitto. «Non dispongo degli elementi scientifici che mi permettano di stabilire se si tratta o meno di un galeone e neppure sono in grado di attribuirne la provenienza. Di sicuro - dice il docente - si tratta di una nave post medioevale, ma su tutto il resto servono indagini programmate». Su un aspetto, tuttavia, lo studioso non ha dubbi: l’importanza del ritrovamento. «Studiarlo permetterebbe di arricchire ulteriormente la conoscenza sull’uso delle coste, soprattutto per quelò che riguarda la rada di Putzu Idu. È probabile - ipotizza - che quella nave si trovasse in quella rada per riparasi da una bufera. Ma solo le indagini potranno permetterci ci capire ad esempio come mai si trovasse in quella zona. Forse, si trattava di una imbarcazione collegata con le attività produttive della zona. Non dimentichiamoci, infatti, che da quelle parti vi erano anche delle saline». Solo ipotesi, per il momento, mentre il mondo accademico adesso è in attesa delle decisioni che assumerà la Soprintendenza. «Il problema in questi casi - ribadisce Raimondo Zucca - è su due priorità. Da un lato, il riperimento di ingenti risorse economiche per campagne di scavi che potrebbero protrarsi molto al lungo, dall’altro, la tutela. Perchè se è vero che la sabbia protegge meglio i relitti, conservandone anche materiali organici, come appunto lo stesso legno di cui è fatta questa imbarcazione, è anche vero che molto dipende dalla coscienza dei cittadini. Non dimentichiamoci infatti che questo relitto come altri (ad esempio la nave francese ritrovata al Poetto di Cagliari, ma anche, in questo tratto di costa, i relitti di Is Benas e di Su Pallosu) si trovano in zone frequentatissime dai turisti». Insomma, proteggere il relitto di San Vero diventa una priorità. E di questo si parlerà negli incontri che avrà l’Università con la Soprintendenza, per decidere del destino della nave “custodita” da più di mezzo secolo dal mare dei fondali del Sinis.

Michela Cuccu

Fonte: La Nuova Sardegna del 14 Maggio 2009


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