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Prorogata fino al 13 Novembre la II campagna di ricerche archeologiche di Tharros

SGSinis

4 novembre 2009

La Soprintendenza per i Beni Archeologici di Cagliari e Oristano retta dal nuovo Soprintendente Dott. Marco Minoja e l’Università degli Studi di Sassari, Facoltà di Lettere e Filosofia retta dal Preside Aldo Maria Morace, con l’impegno totale del Consorzio UNO Promozione Studi Universitari di Oristano hanno svolto, in piena collaborazione, la seconda campagna di ricerche archeologiche a Tharros fra il 14 settembre e il 2 ottobre 2009.
Hanno partecipato per la Soprintendenza per i Beni Archeologici i Direttori archeologi Alessandro Usai, responsabile del territorio, Donatella Mureddu e Donatella Salvi e il Tecnico per l’Archeologia subacquea Ignazio Sanna.
Per l’Università di Sassari i Professori Paolo Bernardini, Elisabetta Garau, Pier Giorgio Spanu e Raimondo Zucca.
Per il Consorzio UNO le archeologhe Adriana Scarpa (Manager didattico), Luciana Tocco (Tutor) insieme alle archeologhe Barbara Sanna ed Emanuela Solinas.
Hanno partecipato con professionalità ed abnegazione i cinquanta allievi del Corso triennale di scienze dei Beni Culturali - curriculum di Archeologia Subacquea, insieme ad antichi allievi di Archeologia Subacquea, ora laureandi in Archeologia dell’Università di Sassari, laureati in Archeologia, Dottorandi di Ricerca, fra cui un archeologo Subacqueo dell’Università di Adelaide (Australia).
Hanno dato l’imprescindibile apporto l’Amministrazione Comunale di Cabras (con il Sindaco Cristiano Carrus e gli assessori alla Cultura Sergio Troncia e ai lavori pubblici Davide Atzori), la Guardia di Finanza, la Capitaneria di Porto, l’Area Marina Protetta “Sinis- Mal di Ventre”, la Cooperativa Penisola del Sinis.

La campagna è ripresa con un supplemento di indagine accanto ai muri meridionale ed orientale della chiesa di San Giovanni di Sinis fino al 13 Novembre 2009.

I TEMI DELLA RICERCA: LA BASILICA DI SAN GIOVANNI DI SINIS
Autore: Raimondo Zucca

Un visitatore dei nostri scavi di settembre ci ha domandato “Cosa state cercando?”. E noi, di rimando, abbiamo risposto: “la conoscenza”.
In effetti le componenti artificiali delle “unità stratigrafiche” che vengono individuate ed asportate, ossia i famosi “pezzi archeologici” destinati sia alla musealizzazione, sia ai depositi museali, non sono altro che elementi fondamentali per comprendere la successione degli eventi in un dato luogo, dunque una tessera della conoscenza globale.
Quest’anno siamo partiti da una nutrita serie di domande che ruotavano intorno al famoso porto di Tharros (o forse meglio alla successione degli approdi di Tharros nel corso di due millenni), inteso come elemento di una organizzazione globale dei paesaggi di questo estremo lembo di Sinis, fra Nuragici, Fenici, Punici, Romani, Vandali, Bizantini, e Sardi Giudicali.
Ed il nostro percorso è avvenuto a ritroso, dalle situazioni insediative più recenti (medievali) a quelle fenicie.
Abbiamo iniziato a San Giovanni di Sinis, proponendo due “saggi di scavo” a sud e ad est della Basilica di San Giovanni di Sinis.
In precedenza il Direttore Archeologo Donatella Mureddu aveva individuato un’abside di un edificio monumentale, in blocchi squadrati che si estendeva al di sotto della Basilica bizantina e del corpo aggiunto in età medievale.
Quali sono i problemi di questa struttura absidata anteriore alla basilica bizantina?
Si tratta di un primitivo edificio chiesastico ovvero è una struttura tardo romana, forse una villa nel suburbio di Tharros, successivamente ricompresa in un cimitero paleocristiano?
Lo scavo esteso verso sud ha evidenziato che l’ area cimiteriale cristiana era assai estesa con “sepolture privilegiate” e con una organizzazione dei percorsi al servizio di quest’area che prevedevano la loro pavimentazione.
Dal cimitero nell’Ottocento vennero in luce il grande epitafio marmoreo del cristiano Karissimus, “seguace di tutti i precetti di Cristo”. L’epitafio, del V secolo, era funzionalmente anche una mensa per il banchetto funerario in onore del defunto.
Nelle varie tombe scavate nell’Ottocento venne in luce un’ampolla egiziana che conteneva l’olio di San Mena, frutto di un pellegrinaggio del VI secolo, ed ancora anelli in oro e argento, di cui uno con iscrizione bizantina del VI / VII secolo.
Nel Novecento il dottor Michele Agus scoprì una seconda epigrafe funeraria della cristiana Veneria, del IV secolo.
Noi abbiamo ora una terza epigrafe cristiana di Tharros, purtroppo frammentaria, che commemora un defunto depositus nel sepolcro in un giorno preciso, che doveva essere commemorato con la celebrazione della messa per i defunti nel giorno settimo, nel trigesimo e nell’anno.
Inoltre sono venuti in luce numerosissimi oggetti in vetro soffiato, balsamari per oli profumati coppe e calici per bere in occasione del pasto funebre.
A questi pasti (cui partecipavano anche i poveri della città) è dato il nome di refrigerium e di agape (amore nei confronti dei fratelli bisognosi).
Si osservano vari tipi di sepolture fra cui i sarcofagi disposti in senso Est Ovest, come i sarcofagi scoperti sotto il pavimento della Basilica e anteriori a questa.
Lo scavo tende a chiarire i problemi della stessa Basilica: in fase bizantina era un edificio a croce greca, a quattro bracci liberi? Oppure era a croce greca inscritta in un quadrato, con quattro vani angolari, ricostruzione che pare più plausibile in base alle unità stratigrafiche murarie individuate nei settori nord e sud della basilica.
Lo scavo ha restituito anche monete in argento della zecca di Genova (dette genovini) databili fra il 1135 e il 1335, che ampiamente circolavano in tutti i porti mediterranei, compreso evidentemente il portus Sancti Marci (il porto di San Marco). Ma dov’era questo porto?
L’esplicita menzione della civitas sancti Marci, già estinta, è nella Digressiuncula de urbe Tarro contenuta nell’opera di Salvatore VIDAL, Clypaeus aureus excellentiae calaritanae, Firenze 1641: altra città non lontano da Tarros, sebbene piccola, era localizzata nel Porto di san Marco, e si denominava, ugualmente, ‘San Marco’.
Dunque il porto di San Marco era distinto dall’antica Tharros, ma si trovava nelle vicinanze, e costituiva una unità insediativa detta “Città di San Marco”, evidentemente per la presenza di una Chiesa di San Marco.
Salvatore Vidal non offre menzione della chiesa di San Giovanni di Sinis con la sua chiesa cattedrale dell’archiepiscopus tharrensis et arborensis, ben nota allo storico Gian Francesco Fara nel 1580.
Può nascere il dubbio, espresso da Francesco Cesare Casula e da Salvatore Bonesu, che tale chiesa fosse stata in origine intitolata a San Marco e che fosse dotata di un battistero col titolo di S. Giovanni Battista.
La chiesa di sanctus Marcus de Sinnis, prossima al porto omonimo, potrebbe, dunque, identificarsi con il San Giovanni di Sinis.
Nella Carta de Logu de Arborea, nel calendario delle festività, erano indicate tutte insieme «sa festa de Santu Joanni e de Sant’ Augustinu et de Santu Marcu de Sinis» (cap. CXXI), presumibilmente in riferimento a tre culti celebrati nel Sinis, San Giovanni e San Marco nella Chiesa c.d. di San Giovanni di Sinis e Sant’Agostino nella prossima chiesa omonima, presso la laguna di Mistras. Le feste sono celebrate il 28 agosto (Sant’Agostino), 29 agosto (San Giovanni) e, probabilmente, la prima domenica di settembre (San Marco). In un documento del 1112-1120, costituente un rinnovo di un atto di donna Nibata, moglie ad Orzocco I, si menziona il notale [natale= festività] de sanctum Marcum de Sinnis.
Sa die de Sancto Marco de Sinnis è attestata in due schede del Condaghe di Santa Maria di Bonarcado (3, 209), del principio del XIII secolo. Infine è rilevante per l’assunto di una primitiva titolatura della ecclesia cathedralis tharrensis come ecclesia Sancti Marci de Sinnis la concessione dell’utilizzo del pallio all’archiepiscopus arborensis da parte del pontefice Onorio III nel 1224 in occasione delle feste di San Nicola e di San Marco alle quali il Giudice Arborense ed il popolo della arcidiocesi avevano la consuetudine di convenire con solennità. 

IL PORTO E SAN GIOVANNI DI SINIS
Autore: Raimondo Zucca

Gli approdi di Tharros si trovavano a Mistras: questa è la proposta interpretativa che gli archeologi della Soprintendenza per i Beni Archeologici, quelli dell’Università di Cagliari e quelli dell’Università di Sassari (curriculum di Archeologia Subacquea) hanno sostenuto sin dalle ricerche del 2008.
Quest’anno abbiamo una novità: il primo saggio di scavo nell’area interrita di Mistras, ossia non all’interno degli specchi d’acqua residui ma nella terraferma, in relazione a linee di costa “fossili” appartenenti ad un’insenatura originaria del golfo di Oristano.
Il saggio corrisponde ad una area intermedia fra la linea di costa orientale odierna del bacino occidentale di Mistras e la presumibile linea litoranea dell’età nuragica e della più antica età fenicia, che riteniamo fosse assai prossima all’insediamento balneare odierno di San Giovanni di Sinis.
Il risultato dello scavo è di straordinario rilievo perché consente per la prima volta di acquisire la stratigrafia dell’interrimento di Mistras.
I materiali archeologici, in prevalenza anforacei, si datano fra il 600 e il 400 a.C., con prevalenza tra il 550 e il 450 a.C. Prevalgono le anfore fenicie e cartaginesi, ma si hanno anche anfore greco-orientali. Sono presenti pure in scarsa quantità vasi di modeste dimensioni: coppe e brocche tardo fenicie e puniche.
La sorpresa è venuta dalla stratigrafia: asportato il livello con i materiali che si presentano tutti “fluitati” (ossia levigatissimi in seguito alla azione dell’energia ambientale delle acque in cui giacevano) si è individuato un livello di 10 centimetri di sabbia del tutto privo di materiali. Asportato anche questo è ripresa la sequenza dei materiali abbondantissimi e appartenenti all’arco cronologico suddetto. Insieme agli anforacei, anch’essi “fluitati” erano numerose conchiglie che potranno aiutare il malacologo a determinare, insieme al geomorfologo, se ci si trovasse in ambiente marino (come appare probabile) piuttosto che lagunare.
Infine siamo arrivati all’acqua.
Questo saggio, cui dovranno seguire altri numerosi saggi, consente di ancorare l’interrimento di una line di costa fossile, seguita per 800 metri al tardo periodo fenicio e al primo periodo punico.
La riva fossile più antica deve essere più prossima all’area di San Giovanni di Sinis.
Le scoperte dell’anno scorso e quelle di quest’anno rafforzano la convinzione che la necropoli fenicia settentrionale indagata dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici nel 1981 (scavi E. Usai- R. Zucca) e, successivamente dall’Università di Cagliari, fosse funzionale ad un insediamento fenicio, cui si ascrivono nuove testimonianze, localizzato nell’ area retrostante la necropoli, e al servizio dell’area portuale.

 


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