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Rapporto Almalaurea sullo stato della riforma universitaria del "3+2"

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28 maggio 2009

Laureati più numerosi, più puntuali all'appuntamento con la tesi e con libretti spesso pieni di voti stellari. I "figli" della riforma del «3+2» ottengono a un primo sguardo un risultato eccellente. La realtà, però, è più complicata, e dietro alla facciata fa emergere anche più un fattore critico. A partire dal fatto che ancora oggi quasi uno studente su cinque si perde per strada al primo anno, mostrando tutte le lacune nelle attività di orientamento per chi si immatricola
I numeri sono quelli messi in fila da AlmaLaurea, il consorzio interuniversitario che ha passato al setaccio i curricula dei laureati 2008 in 53 atenei, e offrono il primo esame ad amplissimo raggio sui frutti reali del «3+2». L'indagine, che sarà presentata domani all'Università di Padova, dice prima di tutto due cose: nel 2008 il sistema universitario riformato ha laureato 293mila studenti, 0 70% in più rispetto ai 172 mila del 2001. E il «fuoricorso», abitudine per più di nove studenti su dieci della vecchia università, è stato evitato dal 40% dei neodottori post-riforma.
Tutto bene, quindi? «Un attimo - avverte Andrea Cammelli, presidente di AlmaLaurea - Bisogna considerare i livelli bassissimi da cui partivamo, e tener conto del fatto che la tendenza generale nasconde dinamiche molto diverse fra loro».
La fotografia, insomma, rimane in chiaroscuro; e il ministro dell'Università Mariastella Gelmini, che ha potuto osservarla in anteprima, sottolinea «l'urgenza di una ri forma che rilanci il sistema e la sua qualità. È indispensabile - ha aggiunto - che le università pubblichino i risultati del loro lavoro per poter misurare la competitività».
In effetti, quando si spacchettano i numeri per gruppi omogenei di corsi (i dati su ogni ateneo e facoltà saranno disponibili solo da oggi) è difficile trovare una dinamica valida per tutti.
I laureati delle professioni sanitarie (74% dei laureati finiscono in tempo) e dell'area politico sociale (42%) sono i più "rapidi", mentre a giurisprudenza la puntualità caratterizza ancora poco più di uno studente su quattro.
L'area giuridica appare esclusa anche dall'impennata dei «dottori», che si concentra soprattutto dalle parti di psicologia, e nelle aree politico-sociale e dell'insegnamento (con incrementi anche del 250%). Un boom che le ultime immatricolazioni dovrebbero decisamente attenuare, in favore di ingegneria e dell'area scientifica.
Più difficile da leggere il dato sulla valutazione. Nel dibattito i giudizi sull'«impoverimento» nella qualità dei neo-laureati si sprecano, ma quando si guardano i libretti gli «impoveriti» si trasformano in genii. Il voto medio nei titoli quinquennali viaggia intorno a 108,7 su 110 e in alcune aree, come il letterario e il geo-biologico, la diffusione delle «lodi» proietta la media sopra il no. Tanta generosità, forse, si spiega anche con una sorta di «rinuncia» a un giudizio effettivo, particolarmente grave visto il valore legale del titolo e l'impatto del voto sui concorsi pubblici.
Più nitido, invece, è il successo della riforma nel collegamento fra università e mondo del lavoro.
Il «3+2» è nato anche per aprire le porte dei corsi di laurea a chi già lavora, e in effetti il 21% delle matricole oggi si iscrive all'università due o più anni dopo il diploma (nel 6,5% dei casi la distanza dalle superiori è ultradecennale). Cresce di conseguenza anche la pattuglia degli studenti-lavoratori, che superano la soglia del 10 per cento. 

GIANNI TROVATI

Fonte: Il Sole 24 ore del 27 Maggio 2009
 


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