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AperiTurismo con... Paolo Fresu, trombettista, Presidente e Direttore Artistico di Time in Jazz

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11 giugno 2018

Uno speaker d'eccezione al terzo talk di AperiTurismo 2018 "Forme e tipicità dell'accoglienza in Sardegna": si tratta di Paolo Fresu, trombettista, Presidente e direttore artistico di Time in Jazz, sicuramente uno dei maggiori protagonisti della scena jazzistica internazionale. Ecco cosa ha raccontato a Tiziana Tirelli per noi.

In una intervista Lei ha detto che "La Sardegna è un grande continente che oggi vive una situazione complessa": come tutte le crisi, questo momento porterà ad una nuova consapevolezza (culturale, sociale, turistica) o siamo destinati a non cambiare mai?

La speranza è l’ultima a morire e io non potrei non essere speranzoso e positivo nello sguardo verso il futuro in quanto padre di un bimbo di dieci anni. La Sardegna è una terra straordinaria che necessita di grandi cambiamenti e che devono essere immediati. La scommessa è andare oltre il passato per offrire una prospettiva futura che sia nuova ma legata a quel passato dal quale è difficile distaccarsi. Territorio, cultura, lingua, musica, creatività, tecnologia, accoglienza sono alcune delle parole chiave della svolta per un’isola con capacità straordinarie ma ancora inespresse. Ci sono però tante persone, dentro e fuori dalla Sardegna, che agiscono e creano individuando nuove vie. Le stesse vanno messe nella condizione di fare goal e credo che questo sia uno dei veri problemi della nostra Isola che da una parte guarda avanti ma che dall’altra non riesce a guardarsi indietro con spirito critico.

La Sua musica, pur essendo universale, ha dei richiami concreti al vento sardo, al granito, alle sonorità ataviche come ad esempio in Inner Voices del 1986. Secondo Lei, la valorizzazione di questi elementi "tipici" e "identitari" nella sua produzione artistica è figlia della lontananza fisica dalla Sardegna, lontananza che consente di vedere "elementi tradizionali" in maniera più distaccata e quindi più obiettiva?

In un mondo globalizzato dove tutti mangiamo le stesse cose, vestiamo uguali e viviamo gli stessi problemi essere diversi è importante. Intendiamoci: parlo di una diversità positiva e costruttiva che sia capace non solo di tendere la mano al prossimo ma anche di guardarlo con curiosità ed interesse per poter apprendere. Solo se coscienti del fatto che le nostre buone cose non sono le uniche e necessariamente le migliori, saremo in grado di metterle in rete e scambiarle con quelle degli altri. Può sembrare un concetto nuovo ma pensiamo a Tharros e al traffico di ossidiana. Per questo credo che la valorizzazione degli elementi identitari tipici sia importante (non solo nella musica) ma vada utilizzata nel modo corretto. Altrimenti si rischia di fare diventare tutto una bieca cartolina turistica di un’isola che non avanza ma si ritrae in una tradizione che sa di balentìa e di birra da bere a tutti costi anche se si è astemi.

La tipicità sarda rivisitata nelle arti può essere un elemento caratterizzante l'esperienza "sarda" di chi cerca un territorio da visitare, un popolo da scoprire, un vino da degustare? Se la risposta è si, come vedrebbe una "cabina di regia" creativa in grado di predisporre proposte turistiche innovative che prescindono (e/o integrano) gli attrattori trainanti conclamati " mare, sole, porceddu"?

Non so se debba esistere una regia ma piuttosto e forse è necessario tracciare un percorso e credo che questo lo si stia già facendo. E’ piuttosto importante fare tesoro e mettere in rete le buone pratiche virtuose che già nel territorio esistono affinché queste siano da stimolo e da insegnamento per gli altri. Bisogna far conoscere di più l’entroterra sardo con le sue tradizioni (quelle vere e non forzatamente ricostruite) e destagionalizzare affinché la proposta turistica e culturale dell’isola sia più ricca. Inoltre abbiamo un prodotto locale ricco e variegato oltre che una produzione vinicola che, negli ultimi decenni, è cresciuta enormemente. E abbiamo musica, letteratura, poesia estemporanea, artigianato, cinema, gastronomia…Molto da dare dunque e molto da dire. Non certo solo "mare, sole, porceddu" che vanno benissimo ma che sono solo una parte dell’offerta sarda.

Con il Suo Time in Jazz ha dimostrato che gli eventi migliori nascono dalle passioni: quanto ha influito la location? Quanto l'accoglienza dei suoi abitanti? Quanto i silenzi di un paese che "vive" in simbiosi con l'artista?

Tutto queste cose hanno influito enormemente per fare diventare Time in Jazz un festival diverso nella sua capacità di indagare sulle potenzialità del territorio. Del resto nel 1988, quando il festival è nato, era l’unico modo per portare gente a Berchidda, paese del quale si sapeva poco e che era conosciuto solo per il suo formaggio e il suo vino. Non potevamo di certo competere con i grandi festival italiani ma oggi siamo uno dei più importanti. Se questo è avvenuto, al di là del livello della proposta artistica che è alto, è perché abbiamo messo questi artisti in luoghi unici che raccontano i nostri territori. E li abbiamo messi a dialogare con i silenzi, con il frinire delle cicale o con un gregge di pecore che passa inaspettatamente durante un concerto fuori da una chiesa di campagna. E poi il rapporto vicino con la gente che crea quella dimensione umana e contribuisce a quel carattere sociale che una manifestazione come la nostra, fatta in un paese di poco meno di tremila abitanti, non può non avere. Altrimenti tanto vale trasferirci in una grande città dove le cose accadono forse in modo più facile.

Identità, tipicità, tradizione, folklore: sono limiti  o opportunità nel percorso di una crescita personale ed artistica di ogni sardo contemporaneo?

Ho già espresso questo concetto in una delle risposte precedenti. Tutto può essere un limite o una opportunità a seconda di come lo si utilizza e del modo con il quale lo si innesta nel proprio linguaggio e con la propria creatività. E’ anche un fatto di pesi. Declamare sempre la propria sardità può essere pericoloso in quanto può risultare una imposizione. Portarsela appresso con naturalezza significa semplicemente viverla per ciò che siamo. Anche in musica o con qualsiasi linguaggio d’arte e non solo.

Lei è uno dei principali ambasciatori della Sardegna nel mondo: quali sono le opportunità mancate in materia turistica secondo Lei? Gli operatori turistici sono pronti ad implementare offerte sensoriali ed emotive oltre che "turistiche" propriamente dette? E, secondo Lei, perché solamente pochissimi di loro fanno una programmazione annuale evidenziando eventi e motivazioni culturali non necessariamente archeologiche?

Si può fare molto di più e bisogna fare molto di più ma serve anche l’aiuto delle Istituzioni ed è auspicabile l’intervento di aziende e sponsor che vogliano investire su questo. L’Art Bonus voluto dal Ministro Franceschini è un ottimo strumento e un buon incentivo ma è necessario renderlo attuativo. Di certo non è la soluzione per tutto ma un buon inizio.

Quale dovrebbe essere la playlist ideale in grado di mixare identità, tradizione, tipicità e folklore da trasmettere nelle strutture ricettive che volessero condividere, anche a livello emotivo e sensoriale, un modello di accoglienza unico ed identitario?

Sabato sera ho suonato a Cesenatico con l’Orchestra Casadei per la loro grande festa. E’ stato un momento entusiasmante perché ho riscoperto una musica che è stata parte del mio apprendistato ma soprattutto perché ho toccato per mano l’ospitalità e la professionalità dei romagnoli che, rispetto alla Sardegna, non hanno molto da vendere ma ne hanno fatto una grande industria turistica e culturale. Vendono passione, calore umano, ospitalità, rispetto, attenzione e poco altro ma sanno venderlo molto bene. Noi abbiamo di certo molto di più ma pochi sanno venderlo come si deve…

Paolo Fresu è uno degli speaker del terzo appuntamento di AperiTurismo.

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- La fotografia di Paolo Fresu è di Manuela Abis, 2013.


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