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A Oristano l’iniziativa della Facoltà di Lettere di Sassari. Mastino: «Un centro di alti studi che investe sulla cultura»

16 novembre 2011

Oristano. Nei magazzini del Museo archeologico di Granada sono insospettabilmente custoditi importanti reperti nuragici. La rotta del ritorno dall’Andalusia alla Sardegna - destinazione Oristano - la tracceranno gli allievi della Scuola di specializzazione in archeologia subacque e dei paesaggi costieri, della Facoltà di Lettere dell’Università di Sassari, che quei reperti hanno trovato, a settembre, assieme ai colleghi archeologi spagnoli, durante uno degli scambi didattici che la Scuola ha promosso. Il viaggio di ritorno coinciderà con una mostra monografica che si terrà a Oristano, sede dell’unico corso, in Italia, di archeleogia subacquea.

E così che nell’Italia dello spread e dei Btp impazziti, Oristano, Mediterraneo, Italia, si aggrappa tenacemente alle radici più intime della storia di questa fetta d’Europa quasi alla deriva, e investe nelle risorse resistenziali a qualunque tsunami economico e persino alle riforme universitarie. I giovani, e la cultura: che insieme alla ricerca formano un prodotto d’eccellenza capace di guardare oltre le crisi contingenti. Ci credono l’Università di Sassari e il Consorzio Uno, che nella cittadina hanno istituito dei corsi d’eccellenza e ieri, presente il Magnifico rettore Attilio Mastino e il presidente del Consorzio Pupa Tarantelli, hanno esposto l’avvio del secondo anno della Scuola di specializzazione in archeologia subacquea, ai quali si aggiungono quattro curricula: Archeologia preistorica e protostorica, Archeologia classica, Archeologia tardoantica e medievale, Archeologia orientale. 32 posti a disposizione, 23 dei quali già coperti dagli studenti - tutti archeologi - che nei giorni scorsi hanno sostenuto gli esami a Tor Vergata e Oristano.

Attività didattiche e di ricerca, a Oristano, nel cuore del Mediterraneo, dentro la rete delle Università insulari del Mondo (una cinquantina di atenei). «Fuori dalle stumentalizzazioni che hanno spesso accompagnato la nascita dei corsi gemmati, la Scuola è palestra per studenti e docenti, confronto sulla identità plurale del Mediterraneo che ci spinge verso il Nord Africa» ha detto il Magnifico rettore Attilio Mastino, accennando alle polemiche che hanno accompagnato l’avvio dei corsi a Nuoro. Ma è stato solo un attimo, per tornare subito al valore della cultura, quella che sulle ali della «rinnovata primavera Araba mette al centro il patrimonio culturale». Cultura e ricerca, con lo sguardo oltre il ponte degli affari contingenti. Significa, per dirla con le parole di Raimondo Zucca, archeologo e direttore della Scuola di specializzazione, «credere in Oristano che sta costruendo la strada di una pervicace ricerca delle antiche rotte del Mediterraneo, partendo da Tharros, attraverso la Sardegna, Creta, l’Andalusia, il Molise, la Tunisia». E per accogliere nelle braccia dell’immenso Mare nostrum l’alito della speranza per chi senza arrendersi vuole fare dell’amore per la cultura il proprio mestiere, il Rettore ricorda la prospettiva dei posti di ricercatore a tempo determinato. Perché i titoli che garantisce la Scuola, a regime saranno un centinaio gli specializzati, sono pesanti, e valgono nel mondo della ricerca.

È l’amore il motore di questi studi. È l’amore che fa dire al professor Zucca che «Oristano ha la coscienza di costruire una proposta culturale di esaltazione delle specificià». È l’amore che porta Claudia Giarrusso, archeologa catanese, sui banchi di questa meravigliosa sede che è il Chiostro del Carmine per specializzarsi in archeologia subacquea, a dire che, al di là delle prospettive di occupazione invocate dalla ragione, «ci sono le speranze dettate dal cuore». Le stesse di Alessandro Porquedddu, maddalenino a archeologo con studi a Pisa: «Il futuro? Continuare a fare l’archeologo, magari con lo stipendio». Erano undici gli iscritti al primo anno, nessuno ha dato forfait. Ed è ancora l’ardore del cuore e della passione a far dire a Zucca che «la presenza dei giovani, degli studenti, sardi, italiani, spagnoli, greci, turchi, accende un entusiasmo dionisiaco», quasi che il soffio del Dio dell’ebbrezza ci salverà «dal rischio di precipitare negli abissi»: dell’indifferenza, della non cultura.

E se non esistono università e corsi di serie A e B, ha specificato Mastino, Oristano ha coltivato per questi ricercatori subacquei (anche loro, tra l’altro, partecipi della scoperta del tesoretto delle monete sardo-puniche recuperate a Pantelleria di possibile conio sardo), l’eccellenza. Qualche nome, nei seminari che si tengono in questi giorni: il professor Mario Torelli, emerito di Archeologia e storia dell’arte greca e romana a Perugia e accademico dei Lincei. E Mounir Fantar, Institute National du Patrimoine di Tunisi, per il quale «la crisi economica non è crisi della cultura. È fondamentale che ricercatori arrivino a mettere a disposizione le loro conoscenze, per creare un comune terreno di saperi e di discussione dove le diversità si esaltino e si rispettino».

Questa fucina di ricerca si regge sulle gambe di un Consorzio che riceve dal Fondo unico due milioni di euro l’anno e con questi denari fa fronte alle tante attività dell’Università oristanese nei tre ambiti che finora ha compreso con i suoi corsi, quello turistico, agricoltura, biotecnologia e enologia, e infine l’ambito archeologico. «Intendiamo formare persone rispettose dell’ambiente, della storia. Persone che attraverso la loro conoscenza, proteggano e divulghino il nostro patrimonio identitario», dice Pupa Tarantini.
«Com’è profondo il mare», il titolo della lezione dell’archeologa Concetta Masseria, dell’Università di Perugia tenuto ieri agli undici futuri archeosub. Questo Mare nostrum di Oristano, verrebbe da aggiungere.


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