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Università, la parola al ministro. Interrogazione di Caterina Pes sul futuro dei corsi del Consorzio Uno. Questa non è una fabbrica di disoccupati molti laureati in tutti questi anni hanno trovato lavoro

3 dicembre 2009

Anche il governo nazionale si occuperà del caso dell’università di Oristano, la cui esistenza è messa a forte rischio, soprattutto a seguito delle nuove disposizioni ministeriali. Dovrebbe risponedere proprio il ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, investita della questione attraverso una interrogazione della parlamentare Caterina Pes. Sempre che l’interrogazione della deputata oristanese non rimanga inascoltata come è accaduto per quella sull’eolico a Is Arenas.
L’esponente del Partito democratico chiede al ministro «se e come intenda garantire la permanenza delle sedi universitarie periferiche, laddove siano presenti dei corsi di studi con particolarità specifiche, ed in alcuni casi unici nell’intero territorio nazionale, che trovano la loro naturale integrazione nel territorio in cui sono ubicati».
Caratteristiche che riflettono pienamente la realtà universitaria gestita in città dal Consorzio Uno. Nata nel 1996 con un’intesa tra Regione, Provincia, Comune, Camera di commercio, associazione degli Industriali, l’Associazione del Commercio, dei servizi e del turismo e da soggetti privati - come ricostruisce in una minuziosa cronistoria l’interrogazione - i primi passi nel senso didattico risalgono all’anno accademico 1996/1997, a seguito dell’attivazione del corso di diploma universitario in Economia e Gestione dei Servizi Turistici e il corso di Diploma universitario in Economia e Amministrazione delle Imprese (entrambi della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Cagliari).
Man mano sono stati istituiti i vari corsi, compreso il curriculum di Archeologia subacquea, attualmente unico attivo in Italia.
Al 31 gennaio 2009 la sede universitaria di Oristano conta 536 iscritti (di cui 203 in Economia e Gestione dei Servizi Turistici, 77 in Biotecnologie Industriali, 54 in Archeologia Subacquea, 100 in Tecnologie Alimentari, 102 in Viticoltura ed Enologia); al 5 novembre 2009 se ne sono laureati 377 (di cui 177 in Economia e Gestione dei Servizi Turistici, 92 in Biotecnologie Industriali, 15 in Archeologia Subacquea, 43 in Tecnologie Alimentari, 50 in Viticoltura ed Enologia).
Inoltre, sottolinea ancora Pes il 38 per cento degli iscritti in Economia e gestione dei servizi turistici è in procinto di concludere il proprio corso di studi; così come il 79 per cento degli iscritti in Biotecnologie industriali, il 70 per cento degli iscritti in Archeologia subacquea, il 21 per cento del corso in Tecnologie alimentari; il 32 per cento del corso in Viticoltura ed enologia.
L’università oristanese non è una fabbrica di disoccupati, se si pensa che nell’arco di un anno dal conseguimento del diploma di laurea hanno trovato lavoro il 53 per cento dei laureati in Economia e gestione dei servizi turistici, il 29 per cento dei laureati in Biotecnologie industriali; il 33 per cento dei laureati in Archeologia subacquea, il 45 per cento dei laureati in Tecnologie alimentari, il 60 per cento dei laureati in Viticoltura ed enologia.
Una realtà che occupa diverse persone, fra docenti, tecnici e tutors. Personale in parte ridotto a causa delle minori disponibilità finanziarie, soprattutto da parte della Regione.
Nonostante tutto l’università di Oristano continua l’attività didattica e di ricerca, nonchè le di scavi archeologici. «Il contributo della Regione è annuale, mentre servirebbe una previsione almeno triennale», scrive Pes che denuncia come in questa situazione la sede universitaria decentrata di Oristano corra «seri rischi di chiusura».
Un timore che è ben presente da tempo tra i lavoratori e gli studenti da tempo cercano di sensibilizzare, sinora con scarsi risultati, i rappresentanti delle istituzioni locali e regionali perchè facciano dei passi concreti per tentare di salvare l’università oristanese, messa in pericolo dai taglli del governo nazionale.

Michela Cuccu


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