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Università di Cagliari: Scienze, corsi a rischio ma si può intervenire

da sinistra: il prof. Fanfani, la prof.ssa Musinu e il dr. D’Alesio

28 maggio 2010

Conferenza stampa a Monserrato del 27 Maggio 2010.

Durante l’incontro con i giornalisti si è parlato dei pericoli e delle conseguenze derivanti dall’eventuale annullamento di corsi di laurea dell’Università di Cagliari, a causa dell’indisponibilità dei ricercatori a ricoprire incarichi didattici per il 2010-2011. In proposito hanno riferito i professori Luca Fanfani - Preside della Facoltà di Scienze MMFFNN - e Anna Musinu, Presidente del Corso di laurea in Scienza dei materiali, insieme al dott. Umberto D’Alesio (Corso di laurea in Fisica) in rappresentanza dei Ricercatori e Matteo Marroccu (Corso di laurea in Informatica) per gli Studenti.

Crescita e sviluppo innovativo dipendono sempre più dalla ricerca scientifica e tecnologica e alla base ci deve essere un sistema universitario capace di formare e impiegare al meglio i giovani talenti. Sebbene su questo sembrino tutti d’accordo, nei fatti a rischiare la paralisi sono proprio i corsi di laurea delle materie scientifiche. Lo aveva già spiegato la Conferenza nazionale dei presidi delle facoltà di Scienze, nella mozione votata all’unanimità (presenti 32 atenei su 52) il 6 maggio a Roma, denunciando le gravi difficoltà dovute a diminuzione delle risorse, scarso ricambio di personale e inadeguatezza dello stato giuridico e di prospettive professionali dei ricercatori. Proprio da questa categoria nei mesi scorsi è partita una mobilitazione che potrebbe portare gli atenei ad un autunno davvero caldo. Con l’astensione dei ricercatori dall’insegnamento sono infatti moltissimi i corsi a rischio di blocco. Tecnicamente non si tratta di una minaccia di sciopero, perché i ricercatori non sono affatto tenuti a stare in cattedra e - sottolineano - spesso non sono neanche pagati per farlo. Non ci sono connotazioni di parte politica, perché le loro rivendicazioni raccolgono consensi di diverso colore e non si accompagnano di preferenza a bandiere rosse, blu, verdi, nere… Tantomeno bianche. Non si arrenderanno, spiegano, “finché le richieste non saranno accolte” e c’è da credergli: il movimento sta crescendo sempre più e gode dell’appoggio di ampie fasce di professori e studenti. Con il varo della manovra finanziaria il fronte potrebbe allargarsi anche a tecnici e amministrativi.

Qui di seguito una sintesi degli interventi.

IL PRESIDE. Luca Fanfani si dice preoccupato: “Senza il contributo dei ricercatori l’offerta formativa è in bilico”. La facoltà si è impegnata a fondo in attività di orientamento e più ancora intende impegnarsi nel sostegno agli studenti in ingresso e nell’intero percorso di studi. Con il numero programmato di accessi ha voluto indicare gli obiettivi di incremento degli iscritti secondo le esigenze del mercato del lavoro ma anche i limiti numerici per erogare corsi di qualità. Corsi e qualità che ora sono a rischio.

LA DOCENTE. Quale causa dei problemi la professoressa Anna Musinu indica i tagli al finanziamento dell’università pubblica e il blocco del turn-over. Concorda con il prof. Fanfani nel riconoscere che “I ricercatori forniscono un contributo insostituibile per insegnamento, ma anche per l’apporto metodologico didattico innovativo, per le attività di orientamento e per il coordinamento didattico dei Corsi di Laurea”. Tra i dati forniti dalla Musinu spiccano quelli sulla media anagrafica dei docenti della facoltà: “L’età media è di 64 anni per gli ordinari e di 57 anni per gli associati. E’ necessario un deciso rinnovamento ma l’ulteriore blocco del turn over aggrava ancor più una situazione difficilissima”. In ultimo la docente ha voluto ricordare il ruolo dei cosiddetti precari della ricerca. “Borsisti, contrattisti e assegnisti universitari, spesso non più tanto giovani, nonostante abbiano competenze di altissimo profilo non trovano spazi per accedere ai ruoli di insegnamento. Mentre, invece - è una contraddizione per chi professa lo svecchiamento delle università - le normative lo consentono ancora ai professori in pensione”.

IL RICERCATORE. Umberto D’Alesio, classe 1967, è un fisico teorico. Si è laureato a Torino e dopo il dottorato di ricerca ha iniziato la sua carriera nell’Università tedesca di Heidelberg. E’ arrivato a Cagliari nel 1999 e finora ha sempre integrato il suo lavoro di ricercatore prestandosi anche quale docente in diversi corsi di laurea della facoltà di Scienze. Come molti suoi colleghi è convinto che bisogna dire basta: “Oltre 50 ricercatori della Facoltà di Scienze (su circa 70) hanno dichiarato ufficialmente di non voler ricoprire incarichi di insegnamento per il prossimo anno accademico se la riforma universitaria non risponderà alle nostre legittime aspettative”. La situazione è analoga in altre facoltà cagliaritane: Medicina conta circa 100 indisponibili su 123, Ingegneria 44 su 61, Scienze della Formazione 31 su 36, Scienze Politiche 17 su 24, Farmacia 36 su 37, Economia 29 su 37”. “Senza il nostro contributo - continua - molte facoltà non saranno in grado di garantire l’offerta didattica. La mobilitazione è ormai diffusa a livello nazionale: in più di trenta sedi universitarie il rischio di blocco del prossimo anno accademico, o comunque del suo non regolare inizio, è altissimo”. Ricorda poi “Siamo la parte più attiva nella missione dell’università, quella con più entusiasmo: non solo per questioni anagrafiche ma anche perché più a contatto con la ricerca attiva”. Dal coordinamento dei ricercatori cagliaritani, saldamente collegato al movimento nazionale, una ricetta: “L’unica via d’uscita da una crisi di sistema è una maggiore diffusione del sapere di alto livello e una ricerca scientifica al passo con i più elevati standard internazionali. Obiettivi non raggiungibili escludendo i ricercatori dalla gestione dell’Università e non Monserrato, 27 maggio 2010  - riconoscendogli il ruolo che da anni già esercitano di fatto”. Nel corso del suo intervento fornisce altri dati: negli atenei italiani 18mila docenti (su 65mila) andranno presto in pensione, a Cagliari si parla di 200 professori su circa 1200. Un bel risparmio per i conti pubblici, ma chi farà lezione agli studenti? “Tutt’altro indirizzo in Francia, dove si fanno scelte per il futuro, investendo nelle persone e non risparmiando sulla formazione pubblica a favore di quella privata. Qui invece si può diventare ricercatori a 40anni suonati, con 1200 euro al mese, lavorando più di 10 ore al giorno: lo stipendio sale a 1800 euro dopo una decina d’anni di servizio, nel frattempo l’età è sulla cinquantina”. E dal dott. D’Alesio infine un appello: “Terminare l’anno accademico in corso senza creare difficoltà dimostra la posizione di massima responsabilità da parte dei ricercatori. I tempi e i modi per intervenire ci sono: le istituzioni e le persone interessate a dimostrare altrettanta responsabilità sono chiamate a dare il loro contributo per un autentico rilancio dell’Università”.

LO STUDENTE. Matteo Maria Marrocu (dell’associazione Università per gli Studenti) attacca frontalmente il decreto Gelmini: “I provvedimenti sulla governance dell’università sono inaccettabili: la rappresentanza studentesca sarebbe privata di ogni significato eliminando la voce degli studenti negli organi di gestione. Ingiusto anche il mancato riconoscimento dell’apporto alla didattica che i ricercatori hanno fornito in tutti questi anni”. Nelle sue conclusioni una lamentela verso la stampa e un’apertura al dialogo: “L’attenzione dei media su questi problemi è assolutamente insufficiente. Noi studenti stiamo valutando nuove forme di protesta. Siamo consci che il blocco dell’attività didattica potrebbe causare la chiusura dell’ateneo. Invitiamo politici e Regione ad aprire un dialogo con i diretti interessati, noi studenti”.

Fonte: Redazione Web unica.it


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