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Ricerche a Porto Ercole

23 marzo 2010

La ricerca: Soprintendenza e Università scaveranno sulle rive della laguna e nei pressi delle massicciate sommerse dell'antico approdo


Sarà la volta buona, dopo anni di sondaggi, studi parziali. Prospezioni e indagini subacquee che avevano fatto ben sperare, rivelando agli archeologi alcune certezze ma anche regalando tanti dubbi. Marco Minoia, da pochi mesi alla guida della Soprintendenza ai Beni archeologici di Cagliari, ha scelto di imprimere un'accelerata alla ricerca su Malfatano. E anche se non regala date, racconta di «un'ipotesi di intervento supportato anche dall'Università per cominciare un progetto di ricerche ad ampio raggio» su questo tratto di costa «ricco di tracce del passato, testimonianze del periodo preistorico, nuragico, di quello punico, romano e fino al periodo medievale e sabaudo».

Saranno gli archeologi e gli studenti universitari, dunque, a raccontare il passato di questo lembo di Sardegna. E perché no, magari scrivere (o meglio, riscrivere) la storia e la verità su quei blocchi di pietra che qualcuno, anni fa, aveva attribuito al fantomatico Portus Erculis. Un'approdo che - ed è questa una delle tante ipotesi - potrebbe trovarsi più dalle parti di Nora che lungo la costa teuladina.

«A Malfatano, più che un porto vero e proprio - spiega l'archeologo subacqueo della Soprintendenza, Ignazio Sanna - era stata eretta una massicciata, oggi sommersa sotto oltre due metri d'acqua. Rappresentava una barriera frangiflutto per rendere ancora più sicuro l'approdo delle navi che in caso di forti venti e tempeste si riparavano bella baia di Malfatano. Un fiordo su cui insiste, in effetti, soltanto il vento di sud-est. Solo lo scirocco potrebbe creare qualche problema e supponiamo logicamente accadesse lo stesso in passato. Per questo i blocchi di arenaria, ma anche di altri materiale, scavati a Piscinnì e in altri tratti di costa, avevano la stessa funzione che oggi hanno gli elementi di barriera sistemati per smorzare l'impeto dei marosi. La loro funzione è confermata anche dalla stessa irregolarità costruttiva. Molti sono perfettamente squadrati, altrettanti hanno forme irregolari per facilitare gli incastri l'uno sull'altro».

Malfatano, insomma, non smette di stupire. Concedendosi di volta in volta con la restituzione delle sue emergenze archeologiche.
Lo aveva fatto anche alcuni anni fa, quando gli archeologi subacquei della Soprintendenza e sommozzatori specializzati si erano tuffati in queste acque per mettere in campo alcune “trincee”. E le indagine aveva dato i suoi frutti. «Intanto, in corrispondenza della peschiera - racconta Sanna - intercettammo il vecchio fondale sabbioso». Non la melma d'oggi, ma un substrato di rena grossolana nascosto sotto settanta centimetri e in molti casi due metri di fango. «Un substrato ricco di conchiglie e gusci d'ostriche anche di venti centimetri a testimonianza di un habitat naturale totalmente differente dall'attuale», spiega lo studioso.

È lì che poggiavano anche ceramiche riconducibili all'età del Bronzo, al periodo nuragico. «Materiale scarso per consentirci conclusioni importanti, per farci pensare a un insediamento. Non è escluso infatti che quei frammenti possano essere arrivati con le piene finite sulla baia dalle montagne, trasportate con l'acqua dei torrenti. Esattamente come il fango alluvionale che ha ricoperto il vecchio fondale».

Una cosa è però certa. Sotto la casa di peschiera, venuta già qualche anno fa, i resti antichi ci sono eccome. Frammenti di coccio-pesto, del tipo utilizzato dai romani per le costruire pavimentazioni compatte e resistenti. È proprio qui - a detta di Marco Minoia - che scaveranno archeologi e Università. Proseguendo quell'opera di ricerca messa in campo in passato da Paolo Bernardini (sue le indagini nelle vicinanze delle massicciate) e dallo stesso Ignazio Sanna nel campo più specificamente subacqueo.

Fonte: unionesarda.it di martedì 23 marzo 2010


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