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«La nostra professione deve essere tutelata»

18 giugno 2010

Nell’immaginario collettivo svolgono il lavoro più intrigante del mondo e vengono visti come cercatori di “tesori” nascosti in località esotiche tra deserti e sole cocente. Ma essere archeologi è in realtà un duro lavoro per la ricostruzione della storia, sporchi di terra, con in mano piccone e pala, e spesso senza ricevere il becco di un quattrino. E quel che è peggio questa attività non compare nemmeno nel Codice dei Beni Culturali, malgrado gran parte del lavoro sia svolto da decenni da professionisti che operano in collaborazione con il ministero rapportandosi in autonomia a enti pubblici e privati.

Per questo motivo la neonata sezione sarda dell’Associazione Nazionale Archeologi ha organizzato ieri mattina una conferenza stampa alla biblioteca comunale di Sassari per mettere nero su bianco tutti i problemi di questa professione. Obiettivo primario, come ha rimarcato la presidente Giuseppina Manca di Mores è il riconoscimento giuridico della figura dell’archeologo in Italia. Perché è la garanzia fondamentale da cui partire. Poi seguono tutti gli altri problemi, non meno gravi e ancora da risolvere dopo trent’anni di discussioni e leggi abortite, come la creazione di un albo specifico e di un tariffario di prestazioni di lavoro.

Certo qualcosa si è mosso: il Codice degli appalti del 2006 ha stabilito che le indagini di archeologia preventiva devono essere svolte dai dipartimenti archeologici delle università e da soggetti con laurea e specializzazione o dottorato in archeologia e un regolamento del 2009 prevede la creazione di un elenco di professionisti dal quale poter attingere per svolgere scavi di archeologia d’urgenza. Peccato poi che la Direzione generale per le Antichità, cui spetta l’istituzione e la tenuta dell’elenco, ancora non ha fatto nulla e tutto è rimasto lettera morta.

Fonte: La Nuova Sardegna del 18 Giugno 2010


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