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In autunno atenei bloccati. La sfida finale dei ricercatori

Università di Cagliari - Rettorato

22 giugno 2010

Niente didattica, solo studi: in 5mila contro la riforma. Indagine della rete "29 Aprile" in 130 facoltà: il prossimo anno il 70% aderirà alla protesta. A rischio migliaia di insegnamenti.

Sono più di cinquemila, pronti a disertare le cattedre. I ricercatori, contro la riforma dell'università, promettono lo sciopero della didattica. «Non spetta a noi tenere i corsi, l'abbiamo fatto per trent'anni e gratis, ora basta», dicono. Un numero che cresce di settimana in settimana e che preoccupa i presidi delle facoltà e i rettori, alle prese con la programmazione del nuovo anno accademico. Se a settembre queste cifre venissero confermate, migliaia di insegnamenti potrebbero rimanere senza un prof.

Contestano la riforma Gelmini che introduce la figura del ricercatore a tempo determinato, relegando chi è già dentro l'università su una specie di binario morto. Se la prendono col governo che taglia i fondi per la formazione e la ricerca. A Tor Vergata, l'11 giugno, una ventina di ricercatori ha tenuto gli esami indossando la maglietta con la scritta: «Ricercatore fuori produzione. Disponibile fino a esaurimento delle scorte». Sul tema è intervenuto anche il presidente della Crui, la conferenza dei rettori, Enrico Decleva: «Se passa la riforma bisogna prevedere piani straordinari di assunzioni, circa duemila posti all'anno per il riassorbimento degli attuali ricercatori che lavorano già nelle università e che possono diventare professori associati».

Uno dei due coordinamenti nazionali, il "29 Aprile", tiene monitorata la protesta e assicura: sono oltre 5mila i ricercatori che, in 23 atenei su 66, hanno già aderito allo sciopero della didattica. «Alla Federico II - spiega da Napoli Alessandro Pezzella - sono circa 400 su un totale di 700 quelli che hanno dichiarato di non essere disponibili a insegnare». All'università di Firenze circa 200, «A Torino su 867 ricercatori
interpellati - dicono al coordinamento - il 53% aderisce alla protesta, a Pavia il 64, a Padova il 72, a Cagliari il 69 per cento».

I numeri sono provvisori e la tabella subisce mutamenti quotidiani. «La legge ci assegna compiti di didattica integrativa - spiega Loris Giorgini, di Bologna - significa che dovremmo collaborare con ordinari o associati, invece teniamo anche più corsi all'anno». «E adesso - aggiunge Piero Graglia, della Statale di Milano - si inventano di rendere precario il ruolo del ricercatore con un contratto triennale rinnovabile per due sole volte». Graglia sottolinea, però, che all'origine dello scontento c'è pure altro: «Faccio il ricercatore, a me preme avere i fondi per portare avanti i miei studi e invece qui si rendono precari ruoli e finanziamenti. Si parla di riforme a costo zero, mai di investimenti».

Hanno cominciato i ricercatori per il riconoscimento dello stato giuridico, ma ora si fanno sentire ordinari e associati i cui scatti stipendiali (come per i ricercatori) vengono bloccati dalla manovra economica. A Cassino, a Lettere e a Ingegneria dal 15 giugno sono sospesi esami e tesi. «Si fa eccezione per gli studenti Erasmus o per chi rischia di perdere la borsa di studio - dice Giancarlo Schirru, ricercatore di Linguistica - Vogliamo capire cosa andrà la conversione in legge del decreto». Adesioni sono arrivate da Napoli e dal Sannio.

La saldatura dello scontento, per una ragione o per l'altra, trasversale alle tre figure della docenza fa prevedere un autunno complicato negli atenei. A Pisa, tre facoltà hanno votato mozioni per il blocco della programmazione didattica e Scienze minaccia uno stop alle immatricolazioni in alcune lauree. C'è poi la rabbia dei docenti a contratto, precari reclutati anche a costo zero, per insegnare in facoltà e tenere esami. Sono gli invisibili degli organici accademici, cattedre che non sfuggono, neppure loro, ai tagli della manovra.

Laura Montanari

Dossier repubblica.it del 20 Giugno 2010


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