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Archeologia, tempo di nuovi modelli

11 gennaio 2010

Quando inizia il periodo nuragico e quando può considerarsi concluso? Quali sono i limiti temporali entro cui gli studiosi comprendono la cosiddetta protostoria sarda? E che dire del significato dei singoli monumenti alla luce del contesto geografico e culturale? Sono solo tre domande di un dibattito, praticamente infinito, su cui si confrontano gli archeologi impegnati nella classificazione e soprattutto nell'interpretazione del materiale: cioè dei resti (quel che rimane del passato lasciato dagli uomini e dagli eventi) e dalle fonti (i documenti del periodo o studi e ricerche di epoche successive).
È uscito di recente il libro "Archeologia preistorica e protostorica in Sardegna" ( edizioni Cuec, 86 pagine, 11 euro) che propone al lettore una breve riflessione sul lavoro dell'archeologo e sui metodi alla base dell'attività investigativa e di studio. L'autore Roberto Sirigu è ovviamente un archeologo, da oltre vent'anni collaboratore delle Soprintendenze sarde e di varie Università. Opera negli scavi, come tutti gli archeologi, ma i suoi interessi lo hanno portato ad approfondire i presupposti epistemologici dell'indagine archeologica e a mettere in evidenza la connessione tra archeologia e semiotica.
L'archeologo comincia la propria indagine cercando di districarsi tra le serie di possibili fonti. «A ben vedere - scrive Sirigu - inizia a esercitare la propria azione indagatrice non solo nel produrre una classificazione delle "fonti", ma già con la decisione di attribuire a un dato "frammento" di realtà materiale il valore documentario di "fonte". È necessario, quindi, chiedersi quali ragionamenti compia l'archeologo per poter condurre la propria ricerca e quali siano i presupposti dell'indagine».
Dalla prima metà dell'Ottocento a oggi il mestiere dell'archeologo ha avuto una continua e profonda evoluzione, passando dall'esperienza romantica di uno Schlimann scopritore della Troia omerica alle tante equipe scientifiche che, munite di sofisticati strumenti, girano il mondo alla ricerca di civiltà perdute. Così anche in Sardegna l'attività di scavo si è sviluppata partendo dalle intuizioni dei capiscuola quali Lilliu, Atzeni, Contu per aprire le strade a nuovi filoni di ricerca.
I ragionamenti proposti da Roberto Sirugu affrontano una materia difficile con l'obiettivo, però, di portare il dibattito all'esterno del circoscritto ed elitario mondo degli addetti ai lavori. Per questo illustra i vari aspetti "filosofici" calandoli nel contesto reale della ricerca. E per aiutare il lettore a muoversi con le giuste coordinate propone una breve quanto chiara sintesi della preistoria e della protostoria della Sardegna: dalle prime tracce della presenza umana all'età del ferro (quando si estinse la civiltà nuragica). Un occhio alle date e alle classificazioni e l'altro rivolto, invece, al dibattito teorico sul metodo. «L'essenziale nel nostro lavoro è saper ragionare a ritroso», sottolinea Sirigu citando Conan Doyle e paragonando l'archeologo al celebre detective Sherlock Holmes. L'autore arriva a proporre un dibattito che passi dalla verifica dell'attendibilità dei singoli risultati acquisiti utilizzando le classificazioni consolidate, a un dibattito che prenda in esame la possibilità di innescare un radicale cambiamento. «Per essere più espliciti - conclude Sirigu - è necessario un cambiamento del paradigma oggi vigente nell'ambito degli studi di preistoria e protostoria della Sardegna restituendo ai nostri modelli la funzione e il valore che loro competono: ciascun modello svolge una funzione di ipotesi o di abduzione e perciò deve essere sempre sottoposto a verifica facendo ricorso alla nostra immaginazione».
CARLO FIGARI

Fonte: Unione Sarda dell' 11 Gennaio 2010
 


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